I FASCISTI IN ADDIS ABEBA

Attentato al maresciallo d'Italia Graziani

Graziani era intento nei preparativi per la celebrazione della nascita del primogenito, erede al trono, del principe Umberto e la contemporanea celebrazione copta della Purificazione della Vergine. La tradizione voleva che il negus distribuisse, in quella data, una piastra a ciascun povero della città. Il Maresciallo, volendosi accattivare il favore della folla decise di destinare ben due talleri per ogni bisognoso. Alla cerimonia, fissata per la mattina del 19 febbraio, sarebbero stati invitati tutti i notabili in quel momento presenti ad Addis Abeba, l'intera popolazione e più di 2.500 indigenti. La folla era assiepata all'interno del recinto del Piccolo Ghebì, il parco della residenza del Viceré, dove Graziani sedeva in cima alla scalinata.
Al suo fianco, quasi un segno premonitore del massacro che sarebbe seguito, l'Abuna Cirillo, uno dei quattro vescovi della chiesa copta, succeduto all'Abuna Petros, fucilato alcuni mesi prima. Per garantire l’ordine sono schierati 93 soldati e tre ufficiali. Sono le 12,20, e nel lento svolgersi della distribuzione un numero imprecisato di bombe a mano viene lanciato da un gruppo di braccia anonime, mischiatesi all'interno della folla. La prima detonazione non viene quasi percepita mentre la seconda sfiora ancora le autorità italiane. La terza colpisce in pieno il Viceré, esplodendo alle sue spalle e riempiendo il suo corpo di ferite. Graziani cade a terra, riverso in una pozza di sangue, mentre tutto intorno a lui si scatena la strage. Vengono lanciate altre bombe, 7 o 8 secondo i primi rapporti. Si contarono sette morti e una cinquantina di feriti. Fra di essi il generale Liotta, (Bersagliere) cui fu amputata una gamba e che perse la vista da un occhio, ma anche alcuni notabili etiopi, fra cui l'Abuna Cirillo, che con il proprio corpo coprì quello del Viceré, e due giornalisti.

Nel frattempo la situazione europea si era andata aggravando, e solo dopo lo scoppio della guerra, il 3 novembre ’39, il Maresciallo apprese dalla radio della sua nuova nomina a Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Il suo potere rimase comunque limitato dal Maresciallo Badoglio in qualità di Capo di S.M. Generale da una parte, e dal Sottosegretario alla Guerra dall’altra. Nonostante le limitazioni, Graziani si rese subito conto delle manchevolezze che caratterizzavano la nostra situazione militare, di cui parlò apertamente a Mussolini. Vi erano deficienze in ogni campo: delle “otto milioni di baionette, ne esistevano solo 1.300.000 e altrettanti fucili e moschetti mod. 1891 !!!”. L’esistenza della Milizia Nazionale, che non era mai stata tollerata dall’Esercito, e la creazione di numerosi altri Corpi armati, estranei all’Esercito, costituivano elementi che ne logoravano il prestigio e ne aggravavano la debolezza. -
L’Esercito era numeroso, ma con un armamento, un equipaggiamento, un addestramento certamente assai inferiori a quello che aveva vinto la Grande Guerra. La nostra industria bellica era debolissima, le nostre riserve di materie strategiche e di derrate non esistevano quasi più.

Tratto da digilander.libero.it/lacorsainfinita/